Luigi Palma di Cesnola, l’isola di Cipro e il Museo Metropolitano di New York

Rafail Charalampous

Luigi Palma di Cesnola, il famoso console e generale italiano del XIX secolo, arrivò a Cipro durante il dominio ottomano come console di Russia e di America e prese dimora a Larnaca. Rimase nell’isola quasi dieci anni, dal 1865 al 1876. Durante questo periodo condusse una serie di scavi in gran parte dell’isola, motivato dalla caccia al tesoro che si era sviluppata in quel periodo si prendano ad esempio gli scavi dilettanti condotti ad Oriente e le scoperte impressionanti di Heinrich Schliemann sulla collina di Hisarlik nell’attuale Turchia, senza metodo e mancanti di documentazione (Di Cesnola 1877; Åström, P. 2000: 9-10; Marangou, 2000: 26; Karageorghis et al. 2016, 12-40; Knapp and Antoniadou 2002, 29; Mayer 1914, XIII-XXI).

Ritrovò oltre diecimila reperti, ne falsificò il luogo di ritrovamento ed esportò i reperti dall’isola. La maggior parte di essi fu acquistata dal Metropolitan Museum di New York, e da altri musei europei (Buchholz 1989; 23; Di Cesnola 1877; Karageorghis 2015; Karageorghis et al. 2016, 12-40; Knapp and Antoniadou 2002, 29; Mayer 1914, XIII-XXV).

Due delle sue collezioni si trovano ancora oggi al Metropolitan Museum, anche se il luogo di provenienza non è accertato, lui sostenne che gli oggetti che compongono la prima collezione (statue calcaree di grandi dimensioni) furono ritrovati nel sito di Gogloi, invece quelli della seconda (principalmente oggetti d’oro), sempre secondo quanto da lui sostenuto, furono ritrovati a Kourion (Marangou, 2000: 272-273). Queste due collezioni costituiscono le prime acquisizioni del Metropolitan Museum of Art di New York e grazie a questo evento assunse la carica di direttore del nuovo museo (Marangou, 2000: 58, 272-273, 293).

Nel 1882 pubblicò un opuscolo intitolato “Metropolitan Museum of Art” in cui descrisse la sua tesi sugli oggetti facenti parte delle collezioni cipriote (Marangou, A.G. 2000: 297). Negli anni successivi pubblicò le sue esperienze di scavo in due libri (Åström, P. 2000 9-10). Il primo libro, dedicato alle sue ricerche nel sito di Golgoi e Idalion, venne intitolato “Cyprus: Its Ancient Cities, Tombs, and Temples: A Narrative of Researches and Excavations During Ten Years’ Residence in that Island” e fu pubblicato nel 1887 (Marangou, 2000: 89-91). Il secondo libro era interamente dedicato alla scoperta di 2.110 statue intere e 4.200 teste di statue che appartengono alle due collezioni del MET (Marangou, 2000: 115, 119, 287-289).

Johannes Doell fu il primo a catalogare la collezione di Cesnola. Nel 1870, lo stesso Censola invitò Doell al suo museo a Larnaca per classificarne i reperti archeologici. In questo catalogo furono inserite 197 statue da Golgoi che in seguito furono portate a New York (Marangou, 2000: 195-197, 216). Intorno al 1874, durante una seconda fase di ricerca in ambito archeologico, Cesnola recuperò altre 100 reperti di statue, statuette e teste di grandezza naturale che, come egli affermò, furono ritrovati a Kourion (Marangou, 2000: 257, 273; Hermary, and Mertens 2015: 20-21).

La provenienza vera dei diversi oggetti nelle collezioni di Cesnola purtroppo è incerta, poiché la corretta documentazione degli scavi non fu tra gli obiettivi del console. Non fotografò mai, né disegnò i siti in cui scavò, invece, cercò di recuperare le antichità il più in fretta possibile per il timore che i suoi stessi operai potessero rubare qualcosa (Marangou, 2000: 137, 139). Oltre alle informazioni archeologiche sacrificate sull’altare delle ambizioni del console, anche gli stessi oggetti hanno subito diversi danni, infatti il loro trasporto sui carri dai siti al suo consolato a Larnaca e il trasferimento degli stessi, disposti dentro delle scatole, hanno causato danni incalcolabili ai reperti archeologici (Marangou, 2000: 170, 178).

Il danneggiamento degli oggetti ha continuato anche dopo l’invio della collezione al MET.

Le statue furono conservate e assemblate dallo stesso Cesnola e dal suo assistente, il produttore di mobili Theodore Gehlen (Hermary, and Mertens, 2015: 20-21). L’intera collezione, composta da 275 scatole ed un numero indeterminato di oggetti, venne assemblata in un solo mese. Il recupero e il restauro dei reperti hanno messo in evidenza, in primo piano, una collezione consistente di statue intere ed hanno permesso di evidenziare simboli riferibili alla Dea Afrodite, un argomento molto diffuso negli Stati Uniti. Anche il metodo di conservazione da loro utilizzato si è rivelato discutibile, le statue sono state restaurate attraverso l’uso di un nuovo materiale, il quale nascose le imperfezioni create dal loro assemblaggio, impedendone di fatto una lettura corretta a posteriori (Marangou, 2000: 140-141, 240).

Sebbene oggi sia accettato che le grandi statue siano correlate all’ideologia regale delle città dei “regni” ciprioti, e che esse raffigurino re-sacerdoti, membri delle famiglie di dinastie reali e di alti funzionari (Satraki, 2012: 56, 360), per molto tempo ciò che ora è molto chiaro rimase ben nascosto nelle teche dove vennero chiuse le statue. La loro esposizione ebbe il solo scopo di mostrare il valore esteriore delle statue come opere d’arte, decontestualizzandole completamente dalla loro gloriosa storia, ne fu di fatto negata la funzione di effigi solenni del potere regale, cancellando le tracce dell’importanza che questo ebbe nella struttura e nell’organizzazione sociale dell’isola.

Diverse reazioni alle collezioni di Cesnola da parte di critici d’arte che ne sottovalutavano il valore artistico delle antichità cipriote, portò la collezione ad essere riposta negli scantinati del MET (Marangou, 2000: 125, 127). Il francese G. L. Feuardent in un suo articolo pubblicato nel 1880 criticò la collezione di Cesnola e ne contestò l’origine e l’autenticità. Nonostante il colpo alla reputazione del console nel 1914, Myres esaminò gli oggetti e dimostrò l’autenticità della collezione, evidenziando il grado di deterioramento delle statue dovuto al metodo di restauro e conservazione con cui furono trattate (Marangou, A. 2000: 127, 141, 304).

Gehlen sottolineò che le riparazioni furono effettuate in circa 1200 reperti seguendo le istruzioni di Cesnola e che per le ricostruzioni dei falsi nasi (fig.1) delle statue e altre aggiunte, queste furono state fatte in base all’origine, fenicia, egizia, in altre parole, in relazione alla loro “nazionalità” (Marangou, 2000: 325). La loro aggiunta e completamento fu considerata necessaria perché le statue potessero essere esposte nelle vetrine museali (Marangou, 2000 327). Un esempio lampante degli errori di restauro integrativo, fu l’aggiunta errata di una colomba più piccola, proporzionale alla mano del Re-Sacerdote (fig.2) (Hermary, e Mertens, 2015: 31, 42-45).

Sulla base di queste premesse, Feuardent continuò a mettere in discussione il corretto assemblaggio delle statue, scrivendo anche una scheda dal titolo sarcastico di “Come fare una statua. Un giocattolo in 15 passi”, mentre in un altro libretto mostrò una statua con diverse versioni di assemblaggio. In entrambi i casi erano chiaramente volti a sminuire il lavoro di Cesnola (Marangou, A.G. 2000: 312-313).

La critica alla cosiddetta statua del “Re Pnytagoras” (fig. 3) è ciò che predomina in tali discussioni. Dopo la manutenzione di Cesnola, alla statua fu infatti aggiunta una testa appartenente ad un’altra statua (Hermary, A. and Mertens, R. J. 2015: 18-19, 198-200). La necessità e quindi la ricerca spasmodica di esporre oggetti interi emerge anche nell’osservazione di corpi ai quali sono state aggiunte teste chiaramente fuori contesto, a completare forzosamente molte altre statue, come ad esempio accade in una statua di tipo temple boy (figura 4) (Hermary e Mertens, 2015: 201, 204).

Un altro duro colpo all’affidabilità della collezione di Cesnola venne dalla scoperta di Cook. Cook sottolineò che le statue probabilmente provenivano da zone diverse e non solo dalle due citate dal console. Osservò anche che la statua di Afrodite ed Eros era in realtà un mosaico di vari pezzi non corrispondenti tra di essi. Tuttavia, Cook ritenne verosimile che le statue fossero state assemblate a Cipro, sostenendo che probabilmente fu la popolazione locale ad ingannare il console, sottoponendogli oggetti più o meno integri creati da loro stessi attraverso il collage di pezzi che in realtà non avevano niente a che fare l’uno con l’altro (Marangou, 2000: 314-315).

Anche W.J. Stillman confermò nel 1885, che le informazioni sul luogo di provenienza delle antichità furono falsificate e che le statue furono alterate da riparazioni erronee e dall’aggiunta di materiale inappropriato con cui rivestivano la superficie delle statue e che impediva il riconoscimento degli interventi ricostruttivi a cui furono sottoposte (Marangou, 2000: 338-339). Questo fu rimarcato anche da Myres nel 1914, che come abbiamo già visto, confermò la difficoltà di riportare gli oggetti al loro stato originale (Marangou, 2000: 143-145).

Un tipico esempio di questo problema è il caso della statua di “Ercole” (fig.5). Ha subito così tanti interventi che oggi le sue caratteristiche originarie sono totalmente incomprensibili. Essa teneva un arco nella mano sinistra, tuttavia, il console decise di aggiungere una mazza che ora è stata rimossa (Hermary, A. e Mertens, 2015: 228-230).

Gli avvicendamenti delle statue cipriote non si sono fermati a ciò che ne fece Cesnola. Il museo MET ancora oggi decide del loro destino. Ancora non è stata stabilita una metodologia accettabile e comunemente accettata riguardo la loro conservazione che metta d’accordo il mondo scientifico, in alcuni reperti, i pezzi sbagliati aggiunti nella fase di restauro da parte di Cesnola sono stati rimossi, mentre in altri ci sono ancora i segni di questa storia che testimoniano le vicende a cui sono state sottoposte mentre si trovavano nelle mani del console. Tuttavia, la loro presenza continua a ricordarci il fascino dei regni ciprioti del periodo cipriota-arcaico e cipriota classico.