La Grotta Corbeddu e le testimonianze del paleolitico superiore

Emanuela Saba

Introduzione

Una serie di straordinarie scoperte riguardanti la  geomorfologia, la paleontologia, la paleobotanica, la paleoantropologia e  l’archeologia preistorica hanno rivoluzionato, nel corso dell’ultimo quarto di  secolo, il quadro conoscitivo della Sardegna nel Quaternario.

Sono stati acquisiti nuovi dati riguardanti la morfogenesi della piattaforma continentale e del massiccio Sardo-Corso; è quindi possibile mettere in relazione le linee di riva attuali con quelle sottomarine ed estendere il quadro dei paesaggi che sono andati evolvendosi nelle varie condizioni climatiche fino all’ultimo tardiglaciale.

Durante le regressioni marine il Tirreno ha subito  importanti variazioni: la Sardegna e la Corsica erano unite da un lembo di  terra ferma e fronteggiavano l’arcipelago toscano, a sua volta diventato un’articolata penisola.

Fra le due sponde, sardo-corse e toscane, vi era un  canale largo mediamente una ventina di miglia, un vero e proprio mare interno e quindi facilmente traversabile, grazie al fatto che godeva di lunghi periodi di  calma dal moto ondoso vista la posizione favorevole a ridosso rispetto ai venti
di Ponente.

A Nord, fra Capo Corso e Capraia, la distanza fra le due terre si riduceva a circa 5 miglia, determinando un contatto “a vista” tra le due sponde opposte.

Tali condizioni paleogeografiche hanno favorito il  verificarsi di una particolarissima evoluzione delle faune insulari, che sarà determinante per la colonizzazione umana delle isole nel Pleistocene medio e superiore.

Se è vero che queste condizioni geografiche rendono  facile l’attraversamento del breve braccio di mare per diverse specie animali,  è tuttavia difficile che i grandi predatori carnivori compiano questo tragitto  a nuoto.

Quando queste specie giungono in un’isola, dunque,  a causa del territorio limitato, della conseguente scarsità di cibo a disposizione, e soprattutto in assenza di predatori naturali, si verificano  profondi e rapidi mutamenti nel loro organismo: la taglia si riduce  notevolmente e le zampe diventano più corte e più robuste, al fine di accedere  anche ai pascoli più interni e accidentati. In Sardegna, infatti, nella prima  metà del Pleistocene è ben documentata una fauna nana, denominata “Nesogorale”,  in cui sono presenti una antilope (Nesogoral  melonii), una scimmia (Macaca maiori), un maiale (Sus sondaari), tutti di piccole dimensioni,e un roditore (Prolagus sardus).

Nella seconda metà del Pleistocene, in un momento  di massima regressione marina, questa fauna si estingue rapidamente e viene  sostituita da un’altra, denominata “Tyrrenicola”, la quale conserva inalterati  i caratteri che l’hanno distinta nell’area continentale. Fanno parte di essa un
piccolo topo (Tyrrenicola henseli), un cervo (Megaceros cazioti) e un canide (Cynotherium sardous).

Della vecchia fauna sopravvive solo il Prolagus sardus, che svolgerà  un ruolo fondamentale nella dieta dell’uomo pleistocenico isolano[1].

La repentina estinzione della fauna nana Nesogorale  dell’isola e la mancata evoluzione della nuova fauna Tyrrenicola verso forme  endemiche nane insulari presuppongono il contemporaneo arrivo di un grande  predatore nell’isola. Tale predatore secondo le evidenze paleontologiche può  essere stato soltanto l’uomo, giunto nell’isola con tutta probabilità intorno  alla seconda metà del Pleistocene, che con l’attività  di caccia abbia consentito una selezione della specie impedendo al cervo e ad altre specie tyrrenicole di assumere caratteri .

Si può dedurre quindi che la mancanza di dati  relativi all’arco di tempo tra Paleolitico inferiore e Superiore sia dovuto ad  una lacuna nella ricerca, piuttosto che all’effettiva assenza di popolamento umano.

Il Paleolitico Superiore è documentato in diverse  zone dell’isola una tra le più importanti informazioni al riguardo proviene  dalla Valle di Lanaittu nel Comune di Oliena (Nuoro), nella Sardegna  centro-orientale, dove sono venute alla luce tracce di insediamenti umani “in situ” a Grotta Corbeddu.

Inquadramento geografico Valle  Lanaittu-Grotta Corbeddu

A circa 8 km da Oliena si trova una sorgente di  origine carsica chiamata Su Gologone. La sorgente è un potente fiotto d’acqua  (300 litri al secondo) dovuto ad un fiume sotterraneo che sgorga all’improvviso  nella roccia da un crepaccio naturale, defluendo in un profondo laghetto sottostante.

Poco prima della sorgente sulla destra una  strada sterrata si inoltra nella valle di  Lanaittu, dove si trovano numerosi siti di eccezionale interesse.

Questa profonda valle ha origini antiche. Lo  scenario è quello del Supramonte, termine con il quale si suole indicare tutti  i calcari della Barbagia, da Dorgali fino a Baunei, nonostante questo termine  in origine era usato solo riferito alle montagne di Orgosolo. Tale  generalizzazione è nata dal riconoscimento della stessa natura geologica di  questi rilievi, formanti un arco che cinge quasi interamente il Golfo di  Orosei. Lo smisurato strato di roccia calcarea che forma il Supramonte, si è  formato sul fondo del mare durante il mesozoico (tra i 225 ed i 65 milioni di
anni fa circa), in seguito all’accumulo di enormi quantità di gusci calcarei e  depositi fluviali. Nei milioni di anni successivi, i movimenti della crosta
terrestre hanno spinto questa formazione rocciosa sedimentaria fino a farla  diventare per altezza seconda solo al Gennargentu. In seguito, diversi
cambiamenti nel panorama del Mediterraneo contribuirono alla formazione di  numerose grotte di origine carsica.

In particolare la vallata di Lanaittu, ha una  forma a “ferro di cavallo”, è racchiusa da una serie di  massicci calcareo-dolomitici dalla morfologia aspra e tormentata e contornato  da una lunga serie di creste le cui pareti strapiombanti la sovrastano. Gli  aspetti geomorfologici che contraddistinguono questo ambiente, sono quelli classici delle montagne calcaree: grotte e doline, pianori carsici, campi solcati, falesie e profondi
canyons. Troviamo dunque ad est la catena del Monte Oddèu (1063 m.) e del Monte Gattùrgios (663 m.), ad ovest il Monte Corràsi con il verde d’antiche foreste. La  vallata si esaurisce a sud ai piedi di Monte Tiscali  (513 m.).

In questa valle si aprono gli ingressi di alcune  suggestive grotte: Sa Oche (la voce), il cui nome pare derivi dal rimbombo delle sue acque sotterranee, e Su Bentu (il vento), tra le  più  lunghe d’Italia. Le due grotte, ricche di laghetti sotterranei e collegate fra loro, costituiscono uno dei più interessanti fenomeni carsici non solo d’Italia  ma d’Europa.

La zona in questione era fin da tempi remoti ricca  d’acqua come evidenziano le caratteristiche geografiche sopra descritte. Luogo  ideale dunque per la frequentazione umana.

A breve distanza, infatti, più a sud si apre una  terza grotta detta di Corbeddu, importante per le testimonianze  preistoriche già accennate e che ora descriveremo in modo più approfondito.

Storia degli scavi di Grotta Corbeddu

La grotta Corbeddu deve il suo nome al famigerato bandito  barbaricino Giovanni Corbeddu, vissuto verso la metà dell’Ottocento, che la  scelse come rifugio.

Si tratta di una cavità a sviluppo pressoché orizzontale, lunga  circa 130 m, suddivisa in tre “sale” principali e terminante in un piccolo ambiente.

Nel 1967 Bruno Piredda, uno dei fondatori del “Gruppo Grotte Nuorese”, notò la presenza nella grotta di ossa  di un piccolo animale, si scoprì poi essere ossa di “Prolagus sardus”, un roditore della taglia d’un coniglio, ormai estinto.

Nel 1968 la paleontologa statunitense Mary Dawson del “Cornegie  Museum” di Pittsburg (USA), venuta a conoscenza  della scoperta, progettò una campagna di scavi scientifici.

Nel 1982 vennero intrapresi scavi sistematici in alcuni ambienti  della grotta, sotto la direzione di Paul Y. Sondaar dell'”Instituut voor Aardwetensc-happen e  Rijksuniversiteit” di Utrecht (Olanda),
con la collaborazione della Soprintendenza alle Antichità di Sassari e di  Nuoro, rappresentata dall’archeologo Mario Sanges[2].

Come si è già accennato la Grotta è stata oggetto di scavo fin  dal 1973 quando fu effettuato il primo saggio di scavo dall’archeologo  P. Y. Sondaar. La grotta è inoltre stata oggetto di scavi sistematici dal 1982 al 2000, sempre sotto la  direzione del Prof Sondaar.

Gli scavi archeologici hanno consentito il recupero di reperti  di notevole importanza per la ricostruzione della preistoria sarda: è infatti  da questo sito che provengono le prime attestazioni archeologiche e  paleoantropologiche, che testimoniano la presenza dell’uomo in Sardegna nel Paleolitico superiore. Nella grotta sono stati recuperati anche altri reperti  inquadrabili, probabilmente, nel Mesolitico e attestazioni relative al Neolitico antico.

I reperti antropologici riferibili al Paleolitico superiore provengono dalla seconda sala: sono un osso temporale ed uno mascellare umani, entrambi giacenti nel medesimo livello ed appartenenti, verosimilmente, ad uno stesso individuo.

Sempre nella seconda sala della grotta è stato recuperato più recentemente un altro resto fossile umano, consistente nella porzione  prossimale della prima falange di una mano, datata circa 20.000 anni dal  presente.

A tutt’oggi questi reperti risultano essere i più antichi resti  umani rinvenuti in un contesto archeologico insulare del Mediterraneo. Altra  particolarità consiste nel fatto che queste ossa presentano caratteristiche  morfologiche che evidenziano un marcato endemismorispetto alle
altre specie del genere “Homo” attestate in Europa in quel periodo[3].

Dallo stesso strato in cui furono rinvenuti i resti ossei umani  provengono fossili appartenenti ad un numero ridotto di specie endemiche di
fauna selvatica, il cervide “Megaceros cazioti” e il roditore  “Prolagus sardus”, entrambi ormai estinti, in associazione a pochi  manufatti del Paleolitico superiore.

Di particolare rilievo è inoltre il ritrovamento, effettuato  successivamente nel fondo della sezione di scavo della prima sala, di una  porzione prossimale di un’ulna umana, assegnata ad un individuo diverso da  quello a cui appartenevano le parti di cranio, che erano state rinvenute nella
seconda sala.

Anche questo interessante frammento osseo presenta una  morfologia differente da quella dell'”Homo sapiens” e appare  caratterizzato da un accentuato endemismo.

Sono stati rinvenuti anche frustoli di carbone misti ad ossa di  animali selvatici, con tracce di fuoco, databili a circa 25.700 anni da oggi.

Significativo inoltre il rivenimento di industria in osso e  litica: raschiatoi, lame, bulini ed altri strumenti  scheggiati in selce, quarzo e calcare marnoso, che secondo  riscontri tipologici si possono approssimativamente datare tra i 14.500 e i  12.000 anni dal presente.

Si segnalano infine reperti riconducibili alle fasi del  Neolitico antico e medio[4].

Nel museo di Nuoro è stato ricostruito il diorama  della Valle di Lanaittu che illustra l’ambiente naturale relativo al  Pleistocene superiore, realizzato sulla base della documentazione  paleontologica dello scavo nella Grotta Corbeddu. In primo piano, sulla  sinistra, si osserva l’uomo, durante un momento di caccia al cervo Megaceros cazioti.

La parte centrale è dedicata alla specie Prolagus sardus, molto abbondante  nel deposito della grotta e in tutti i giacimenti paleontologici  Plio-Quaternari.

In associazione a questa specie si osserva il  canide, Cynotherium sardous e due roditori Tyrrhenicola  henseli e Ragamys orthodon, attualmente
estinti, che appartengono a due diverse famiglie, rispettivamente a quella  delle arvicole e a quella dei topi selvatici.

Queste specie mostrano una caratteristica tipica dei  micromammiferi che si evolvono in ambiente insulare: la tendenza all’aumento  della taglia corporea.

Le indicazioni sul loro modo di vita vengono dedotte  da osservazioni sui rappresentanti attuali che abitano la penisola italiana.
Sulla base degli studi effettuati, si pensa che Tyrrenicola henseli potesse essere una  specie che viveva in spazi piuttosto aperti, mentre Ragamys orthodon fosse legato ad un ambiente più boscoso.

Analisi stratigrafica

Per avere un quadro più preciso della situazione
nel suo insieme è interessante approfondire nel particolare la stratigrafia
della grotta.

La sala 2 presenta una situazione particolarmente
significativa: sono presenti, in netta successione stratigrafica, uno strato
con fauna olocenica e con livelli riferibili al Neolitico Medio e Antico, uno
strato di breccia con abbondanti resti di Prolagus sardus e un terzo strato di argilla con migliaia di resti di fauna
Tyrrenicola, per la maggior parte di Megaceros cazioti. Anche la microfauna presente negli strati 2 e 3 è rappresentata
da specie pleistoceniche.

Dallo strato 2 della sala 2, in associazione
stratigrafica con fauna Tyrrenicola, provengono il temporale e il mascellare
superiore umani.

La datazione radiometrica ottenuta su ossa di
Prolagus raccolte nello stesso livello dei fossili craniali umani, è di 8.750 ±
140 da oggi[5].

Questi reperti sono quindi fra i più antichi resti
fossili umani rinvenuti in Sardegna. Inoltre per la prima volta, l’uomo compare
in associazione alla fauna endemica insulare preneolitica. Per certi caratteri
la morfologia di questi fossili umani, in particolare del mascellare, sembra
essere

estranea alla variabilità dell’Homo sapiens in generale e dell’Homo sapiens sapiens europeo in
particolare. Questa morfologia anomala può essere segno di endemismo, il
risultato cioè dell’isolamento in Sardegna di un gruppo umano[6].

Un sondaggio stratigrafico della potenza di sei
metri effettuato nella sala 2 della grotta Corbeddu nel corso di una delle
ultime campagne di scavo, ha permesso di rilevare una successione stratigrafica
sostenuta da seriazioni radiometriche ed esami pollinici per ciascun
livello,  la quale ha consentito di
ricostruire tutte le variazioni climatiche degli ultimi 40.000 anni, e quindi
le modificazioni del paesaggio con le diverse specie vegetali.

In un livello del sondaggio, datato intorno ai
22.000 anni fa, è presente un frammento di falange umana: che è diventato a sua
volta il più antico fossile umano dell’isola e dell’ambiente insulare
mediterraneo ritrovato in situ, togliendo il primato alle ossa craniali umane
ritrovate nella grotta stessa.

La presenza di pollini di Pinus silvestris e di mirtillo (Vaccinum sp.), oggi non più presenti in
Sardegna ma tipici delle zone alpine, attesta che, quando l’uomo pleistocenico
era presente nell’isola, il clima era particolarmente freddo.

Di particolare rilievo è la situazione osservata
nella grotta. Le ossa di cervo appaiono in giacitura non naturale ed è evidente
una loro selezione intenzionale; alcune presentano tracce di usura che ha
permesso di ipotizzare un loro probabile uso come strumenti, su altre sono
osservabili sulle superfici i cosiddetti “cut-mark” e “toolmark” (segni di
taglio e di strumenti) dovuti ai processi di scarnificazione e
disarticolazione.

Alla grande quantità di resti faunistici fa
riscontro un’industria litica poco abbondante e ricca che utilizza supporti
naturali di calcare marnoso locale e nella quale si rincontra poco l’uso della
tecnica detta del “debitage” (la produzione di schegge dalla pietra). Si tratta
essenzialmente di raschiatoi e bulini, con scarso ritocco marginale, che al
momento sembrano avere un aspetto indifferenziato, privo di elementi tipologici
caratterizzanti, confrontabili con le coeve industrie peninsulari.

Sulla base delle datazioni radiometriche dei
livelli di provenienza, tutta l’industria litica nel suo insieme è inquadrabile
tra 14.600 e 12.500 anni fa circa.

Al momento, quindi, in accordo con i dati
antropologici, paleontologici e paletnologici, l’ipotesi più attendibile è
quella che vede in Sardegna in questo periodo, e fino all’avvento dei
neolitici, un uomo con caratteristiche fisiche particolari, con un regime
alimentare basato sulla raccolta e sulla caccia a una fauna insulare endemica.
Sempre dalle evidenze possiamo affermare che questo abitante dell’isola ha
prodotto probabili strumenti su osso poco specializzati, per ora non segnalati
nelle coeve fasi continentali, e un’industria litica al momento mai riscontrata
nei contemporanei complessi della terraferma. Resta aperto il problema della
denominazione e dell’inquadramento di questi complessi industriali: paleolitici
e mesolitici secondo le datazioni di cui disponiamo, ma non per i caratteri
tecno-tipologici sulla base di quelli che sono a tutt’oggi i canoni.

Il termine “preneolitico” adottato per le industrie
coeve corse sembra per ora la migliore definizione provvisoria.

Il quadro di Grotta Corbeddu dimostra anche quanto
fosse fondamentale, ai fini della continuità di presenza per tutto il
Paleolitico di nuclei umani in un ambiente insulare, la presenza tra le
pochissime specie di mammiferi, di un roditore di media taglia quale il Prolagus sardus. Estremamente prolifico e facilmente cacciabile, il Prolagus ha
consentito alle popolazioni della Sardegna, e forse della Corsica (in
quest’isola le ricerche sono ancora in corso), una sostanziale integrazione
della dieta, in termini di proteine necessarie alla sopravvivenza[7].

Alla luce di queste nuove
emergenze archeologiche, secondo il Dott. Sanges, trova ora possibilme
inquadramento cronologico e culturale corretto il piccolo idoletto femminile in
basalto, ritrovato nei primi anni ‘50 del ‘900 nel riparo sotto roccia di
“S’Adde” presso Macomer, erroneamente considerato neolitico perchè non
esistevano prove della presenza umana sull’isola in epoche precedenti al
Neolitico antico. Ora, dunque, può essere definitivamente collocato nell’ambito
della grande corrente delle rappresentazioni plastiche femminili che nel Paleolitico
Superiore ha interessato l’intero continente europeo.

Confronti e conclusioni

Riepilogando da quanto visto negli ultimi annile
teorie che vedevano la Sardegna colonizzata dall’uomo soltanto a partire dal
Neolitico Antico sono profondamente mutate. Al momento, infatti, le più antiche
testimonianze di frequentazione umana sono state accertate nel nord dell’isola,
in Anglona, in cui ricerche sistematiche che durano da oltre un ventennio hanno
consentito di mettere in luce una notevole quantità di manufatti litici su
selce locale riferibili al Paleolitico Inferiore.

Lungo il corso del Rio Altana (Perfugas – Sassari)
è documentato un complesso di industrie litiche su scheggia, in giacitura
secondaria, attribuibile al cosiddetto Clactoniano arcaico con elementi
Protolevalloisiani.

Il quadro tipologico dei manufatti ha permesso un
confronto con i complessi protolevalloisiani del Gargano in particolare, ma
anche con altri in diverse aree peninsulari.

Recentemente analoghe industrie sono state rinvenute
in giacitura primaria in località “Sa Coa de Sa Multa” (Laerru – Sassari). La
cronologia di questa particolare facies pare sia da attribuire ad un momento
antico del Pleistocene medio (fasi finali del Mindel, databili intorno a
500.000 anni da oggi), in accordo con l’ipotesi, già avanzata su basi
paleontologiche, dell’arrivo dell’uomo in Sardegna al momento della
sostituzione faunistica “Nesogoral-Tyrrenicola”, datata alla prima parte del
Pleistocene medio.

A un momento più avanzato sono da riferirsi gli
altri strumenti litici scoperti nella stessa regione, che si ricollegano al
tipo di industrie su scheggia, privo di bifacciali, detto genericamente
“clacto-tayaziano”.

Essi sono stati rinvenuti in strato su un terrazzo
fluviale, la cui genesi è riferita alla glaciazione rissiana con pedogenesi e
alterazione durante l’ultimo interglaciale, in località “Sa
Pedrosa-Pantallinu”, sempre nei pressi di Perfugas.

Uno studio analitico preliminare ha permesso di
correlare tipologicamente questo complesso con altre industrie peninsulari,
soprattutto con l’aspetto abruzzese di Madonna del Freddo e con alcuni
complessi “tayaziani” della Francia meridionale. Resta, al momento, insoluto il
problema di questa differenziazione di fasi clactoniane arcaiche ed evolute presenti
nel Paleolitico Inferiore sardo. La si potrebbe spiegare con un’evoluzione
dalla fase arcaica fino all’evolutoa (derivazione filetica tra le due) o con
l’arrivo di nuovi gruppi umani dal continente. La ricerca è ancora in corso e,
se opportunamente allargata ad altre aree dell’isola, potrà in futuro fornire
risposte esaurienti anche su altre problematiche che emergono da questo nuovo
straordinario capitolo della preistoria sarda.

Al momento non si ha in Sardegna alcuna
testimonianza riferibile al Paleolitico Medio, e non poche decine di migliaia
di anni intercorrono tra le industrie più recenti del Nord dell’Isola e i
livelli riferibili al Paleolitico Superiore, venuti alla luce nella Grotta
Corbeddu.

[1]     Sanges
M.,

[2]              E. Contu, 1998; G. Lilliu, 2004, pp. 26, 32

[3]           Sanges,
198?

[4]
Contu E., 1998; Lilliu G., 1988

[5]    Sanges

[6]    Sanges

[7]          A differenza delle altre isole del
Mediterraneo, ma in accordo e analogia con modelli similari in altri ambienti
quali gli arcipelaghi indonesiani e australiani